In visita a Monte delle Vigne… embedded

Il vignaiolo, in un periodo invernale pseudo tranquillo come questo – pochi ordini, poche consegne, la campagna ‘ferma’ a parte la potatura… – che fa? Progetta, programma, organizza. O almeno: dovrebbe fare tutto ciò. O anche, come nel mio caso, decide finalmente di dedicare qualche oretta qua e là per scrivere, accontentando quelle povere redazioni che ancora – bontà loro – gli commissionano pezzi. O per raccontare esperienze arretrate, guarda caso su questo sito-blog, dopo che viene invitato a presentazioni o eventi da giornalista… Come quella volta a Monte delle Vigne, azienda vitivinicola e realtà enoturistica di prim’ordine in Emilia Romagna, pur in una zona, sulle prime colline in provincia di Parma, considerata di rango inferiore a quel che merita.

Difficilmente in simili occasioni rivelo la mia second life di produttore di vino. È una situazione molto interessante, persino divertente… Ovviamente non posso fare a meno di mettermi nei panni del titolare dell’azienda in cui mi trovo: quasi sempre, tendo a solidarizzare con lui senza darlo a vedere. Mi colpisce l’aplomb con cui il padrone di casa reagisce alle domande impertinenti o ingenue, talvolta ahimè perfino sballate, di qualche giornalista (non tutti). E mi chiedo se, dall’altra parte della barricata, riuscirei a incassare così elegantemente… Perché il vignaiolo (come il ristoratore) è uno dei pochi mestieri nei quali è accettato come normale che siano gli ospiti a insegnarti cosa dovresti fare. La sensazione, in quelle mie occasioni un po’ mimetiche, un po’ ambigue, o con i piedi in due scarpe – chiamatele come vi pare – è di essere un po’ un infiltrato, ma anche uno ‘di casa’.

E quando, durante un evento per i giornalisti presso Monte delle Vigne, ho sentito il patron Paolo Pizzarotti, importante uomo di impresa in altri campi, fare con estrema naturalezza l’inciso  “Tanto pago io…”, durante le spiegazioni sue e dei suoi collaboratori, mi sono molto immedesimato (pur con le dovute proporzioni, perché la mia azienda è un microbo rispetto alla sua). Una battuta, ovviamente ironica, che è passata inosservata ai più e invece dice tanto della cosiddetta ‘passione’ del fare vino. Quella passione che è tanto evocata nella narrazione del vino, ma che non è un vezzo, non è un gioco da ricchi annoiati. Fare un buon vino può essere anche facile, specie se hai i soldi. Ma fare un buon vino con dietro un organismo vero e vitale come un’azienda, che dà lavoro, mantiene e migliora il paesaggio, valorizza territori e patrimoni storici-architettonici (per dirne tre, delle mille cose positive che un’azienda vera può fare) vi assicuro che è molto difficile. Per un Pizzarotti, ma anche per il più piccolo e sconosciuto agricoltore-produttore di vino, in ultima analisi ha lo stesso obiettivo: fare bene le cose, e magari averne un riconoscimento (non tanto soldi, si badi: ho detto riconoscimento e soddisfazione personale, una cosa molto più intima, difficile da spiegare a chi non l’ha provata).

Beh, ho un po’ divagato… Scusate lo sfogo… Ma torniamo a mister Pizzarotti. Il suo a Monte delle Vigne nel cuore della zona DOC dei Colli di Parma (*vedi note di approfondimento qui in fondo), è stato ed è un grande progetto, certo fuori scala per gente normale come me e tanti altri piccoli produttori, ma è stato molto istruttivo conoscerlo.

La ‘scusa’ della visita  è stata la presentazione della nuova annata 2018 di Nabucco, il vino più rappresentativo, con una verticale di precedenti annate che ha testimoniato la crescita dell’azienda, ma anche il cambio climatico e la messa a punto produttiva e stilistica a questo collegata, forte di un patrimonio viticolo notevole. Gli scorci che la terrazza panoramica e i dolci pendii regalano su questi vigneti hanno davvero un che di ‘francese’, disposti in una sorta di ampio anfiteatro, in cui emerge il grande complesso edilizio e tecnico della cantina e delle strutture di accoglienza, sicuramente di livello non usuale per l’Emilia. Salta subito all’occhio che i vigneti sono gestiti in modo accurato ma razionale, finalizzati a un equilibrio complessivo per un qualità ‘artigianale’, con sovesci di essenze miste, potature moderne rispettose del legno e così via.

Dai vigneti migliori viene appunto il Nabucco, il primo nato in casa Monte delle Vigne; nel 1992, era 70% Barbera e 30% Merlot, affinato per 12 mesi in barrique di rovere francese. Poi via via negli anni è cambiato un po’, è calata la percentuale di Merlot fino al 10%, con l’introduzione anche di botti grandi di rovere per l’affinamento oltre alle barriques di Allier. Ma Barbera perché? Qui continua quella fascia che parte dal basso Piemonte, continua nell’Oltrepo pavese, negli adiacenti Colli Piacentini e poi qui, in misura minore, nei Colli di Parma (fino ai Colli Bolognesi, quasi saltando Modena e Reggio).

 

Ho assaggiato in sequenza, con la guida del consulente enologo Luca D’Attoma, le annate 2000 (trovato ancora molto buono!), 2005 (ben impattante in bocca, al naso non perfetto, ma ci sta), 2007 (sempre valido ma con profumi che si sono un po’ persi), 2011 (più duro, austero, sempre interessante), 2015 (freschezza e acidità che duettano efficacemente con un frutto sempre gradevole e legnosità giustamente amalgamata). Infine, la 2018 (la prima con D’Attoma), davvero notevole, e non a caso – come si sarebbe saputo di lì a pochi mesi – assai ben valutata da guide e premi vari. Fresco di restyling dell’etichetta, il vino è avvolgente, pieno, nel solco dell’eleganza e mai dell’eccesso. La struttura c’è tutta, per un abbinamento ideale con arrosti e formaggi (naturalmente Parmigiano Reggiano), ma anche la freschezza propria della Barbera resta un segno distintivo. Può sicuramente evolvere bene nel tempo. Del resto, i terreni aziendali di antiche argille con vene calcaree sono ben vocati a questi vini, e una chiacchiera finale in più con il direttore tecnico Andrea Boarini mi ha illuminato proprio sulla Barbera. Usare rame il meno possibile nei trattamenti ma puntare anche su caolino e zeolite ‘rinfrescante’; diradare i grappoli, ma prima in certi casi anche sfogliare, e nei grappoli togliere la punta e l’aletta all’invaiatura, in generale puntare a una maturazione avanzata ma stando attenti ai primi segnali di cedimento (quando ci sono moscerini in giro è già troppo tardi) sono fra i segreti che ho carpito di questo lavoro certosino. E secondo Luca d’Attoma la Barbera può essere veramente il vino del futuro del Nord Italia, per le caratteristiche ’moderne’ di acidità e freschezza senza avere tannini troppo spinti da giovane, oltre alla spiccata florealità e a una vinosità che ora non deve essere più considerata un difetto.

E a proposito di futuro a Monte delle Vigne:  arriva in questi giorni sul mercato  una nuova linea di vini fermi che puntano a raccontare il terroir specifico delle colline di Parma attraverso la vinificazione in purezza dei varietali. Sono la Barbera 2019, la Malvasia 2020, vitigni autoctoni della zona, e il Cabernet Franc 2018, il primo vino fermo biologico prodotto nella zona di Parma. Vini immediati e autentici  che vanno ad affiancarsi al Nabucco e al Callas, malvasia aromatica in purezza.

*Nel 1983, Monte delle Vigne è un podere di 15 ettari, di cui 7 a vigneti, con una piccola cantina. Negli anni duemila, gli ettari vitati diventano 20, con l’aggiunta del podere Bella Foglia, che comprende vigneti di Barbera e Malvasia. Paolo Pizzarotti possedeva un già podere di 100 ettari (la Villa del Monticello) confinante con questi appezzamenti di Monte delle Vigne. I due progetti vengono poi condivisi Il suo ingresso come socio di maggioranza e dal 2005 vengono piantati nuovi vigneti, che arrivano a fine 2009 a 60 ettari complessivi (oggi sono 40), suddivisi tra Malvasia, Sauvignon e Chardonnay, Barbera, Lambrusco Maestri e Cabernet Franc. Siamo tra il Parco Fluviale del Taro e il Parco Naturale dei Boschi di Carrega, nelle vicinanze della Riserva Naturale di Monte Prinzera, fra ampi spazi verdi e boschivi che mantengono peculiare freschezza ai vini, in terreni calcareo-argillosi. Nel 2006 si inaugura la cantina ipogea a pigiatura gravitazionale (progettata dall’architetto Fiorenzo Valbonesi) e a temperatura costante, 6000 mq, dotata di impianto fotovoltaico da 40 kW, sistema geotermico e di recupero delle acque piovane per l’irrigazione. Nel 2020 entra in azienda anche il figlio di Paolo, Michele Pizzarotti, con il ruolo di consigliere. Attualmente il Cda aziendale comprende anche Lorenzo Numanti, Amministratore Delegato, e l’agronomo toscano Andrea Bonini, responsabile produzione in vigna e in cantina. Dalla vendemmia 2021 la produzione è certificata biologica.

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