Pizza di Berberè: non c’è competizione.
Ma caspita, quanto è buona la pizza di Berberè! Non mi viene in mente altro, se non questo, per attaccare un pezzo sulla rivoluzionaria pizzeria di Bologna. Servita a spicchi, alta ai bordi, ma fragrante, leggera, con ingredienti e accostamenti di superqualità. In bocca piacere indescrivibile, in digestione nessun problema. Il confronto con le pizze classiche non lo considero neanche per manifesta inferiorità (sì, d’accordo, qualcuna decente c’è, ma sul tema si sente dire tutto e il contrario di tutto): qui la sfida è con le altre pizzerie cosiddette gourmet che stanno spuntando, ma che il più delle volte fanno parte della categoria ‘vorrei ma non posso’. E dire che loro, i fondatori fratelli Matteo e Salvatore Aloe, potevano un po’ vivere di rendita, potevano essere distratti dalla esplosione imprenditoriale di cui sono protagonisti, con i loro 7 locali in Italia a gestione diretta (Castel Maggiore, Bologna, Firenze, Torino, Milano, Roma e il secondo a Milano da ottobre), i 2 locali a Londra (Radio Alice), gli 80 dipendenti. E invece no. Una pizza che se è possibile è ancora meglio dei primi anni. Io sono affezionato al coraggioso posto di Castelmaggiore, aperto pioneristicamente nel 2010 in un ‘non luogo’, e devo dire che ho trovato la pizza al pari di quella sfornata in via Petroni, riprovata pochi giorni prima dopo un po’ di tempo che non ci andavo (grave e sciocca assenza la mia!). E guardacaso quest’anno Berberè di Castelmaggiore ha anche ottenuto i Tre Spicchi, massimo riconoscimento della guida “Le pizzerie d’Italia 2018” del Gambero Rosso.
Matteo Aloe mi ha raccontato personalmente quanto sia per lui fondamentale puntare sulla continua ricerca e sulla formazione interna dei ragazzi, per garantire processi artigianali e preservare l’alta qualità in tutti e 7 i locali. Icollaboratori sono motivati e gentili, e visto dal di fuori il clima di lavoro sembra molto buono. Penso che sia questo il segreto oltre ovviamente ai lieviti, alle materie prime, ai tempi di lavorazione (e – udite udite – al nuovo forno elettrico in pietra?): farine semintegrali biologiche macinate a pietra di grano, enkir, kamut, segale e mais, 24 ore di fermentazione lenta a temperatura ambiente con pasta madre viva, impasto alternativo realizzato con idrolisi degli amidi senza impiego di lievito, lavorazione non sottile dell’impasto che permette un pieno sviluppo degli alveoli, per una pasta leggera dentro e croccante fuori. La presentazione stessa sul piatto non è casuale: pizza tagliata in 8 fette con il condimento di ogni singola fetta per un perfetto equilibrio tra base e farcita. Rimane forte la collaborazione con Alce Nero, socio del progetto dal 2015, sia nella fornitura delle materie prime, quali pomodoro e olio, ma anche nello sviluppo di farine semintegrali coltivate e lavorate ad hoc, di tipo 1, così da ottenere un impasto dai sapori e profumi più intensi, ma anche più ricco dal punto di vista nutrizionale, grazie al maggior apporto di fibre.
Il menu ora è tutto incentrato sulle pizze con 15 scelte. Nella farcitura vengono utilizzati prodotti come il Pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto, il Fiordilatte bio Querceta, le carni della Macelleria Zivieri di Monzuno, i capperi di Salina, la bufala bio Ponterè di Cancello di Arnone. Presenti anche alcuni presidi Slow Food e prodotti Libera. Prezzi popolari: si parte da 5,90 € per una pizza pomodoro, aglio e prezzemolo a un massimo di 13,50 € per quelle riccamente farcite.
Io a Castelmaggiore mi sono dato ai classici, come pomodoro, basilico, bufala di Caserta (messa in uscita dal forno, come buona parte degli ingredienti), ma anche a una ghiotta Nduja di Spilinga, pomodoro, caciocavallo. Mmm…. Top. Eccola:
La prossima volta prenderò Capperi di Salina, pomodoro Fiaschetto di Torre Guaceto, fiordilatte, origano, basilico e pepe. In via Petroni, ho provato anche Zucca arrostita, funghi misti saltati, taleggio, prezzemolo, fiordilatte, ma è una questione di gusti, non mi piacciono troppo né la zucca né i funghi. Ho preferito di gran lunga quella con Acciughe di Cetara, pomodoro, cipolla rossa di Tropea, limone e origano. Tutto molto bello. Unico appunto, secondo me la proposta di vini è da mettere a punto (a parte gli ineccepibili e geniali Biofiaschi di Federico Orsi Vigneto San Vito), la ricerca del bio a tutti i costi non deve andare a scapito della qualità, né si deve trascurare il territorio dei Colli Bolognesi.
Ancora a proposito di Berberè di via Petroni: ha rinnovato i propri interni a metà agosto, per rafforzare l’immagine di “pizzeria contemporanea“, che caratterizza i 7 locali del progetto.
Il restyling, ad opera dell’agenzia di comunicazione Comunicattive e Studio Rizoma Architetture, è stato ideato con l’obiettivo di illuminare e uniformare gli spazi interni, molto diversi fra loro per grandezza, altezza e dislivello. Le vetrine sulla strada sono state ritinteggiate di azzurro vivo, cavalcando lo stile tipico delle botteghe inglesi, così da sottolineare lo stile pop del locale. Fra le novità, già visibile dall’esterno, la nuova lavagna luminosa a cassettoni che riporta il nome di Berberè e i principi della sua pizza, posta di fronte alla porta d’ingresso del locale. Per alleggerire visivamente gli spazi interni sono stati tolti tutti i suppellettili e tutti i colori scuri che caratterizzavano le pareti, mentre il soffitto a soppalco è stato tinteggiato di bianco. I corpi illuminanti dello stesso sono stati sostituiti con luci da bistrot in ottone imbrunito.
I top dei tavoli sono stati sostituiti con piani in formica di tonalità azzurro, carta da zucchero, giallo chiaro e verde, due tipici colori delle osterie anni 60. Anche le sedie, tutte di legno con nuance differenti, hanno sostituto le sedute colorate per creare uno spazio armonico e valorizzando abbinamenti caldi tra legno e azzurro acceso.
Le pareti del locale, ripulite dalla carta da parati, sono state lasciate appositamente grezze, mentre è stata inserita una boiserie verde acqua, omaggio ad uno degli elementi caratterizzante delle vecchie officine anni ’50, ripreso anche nei locali di Roma e Milano. Per rendere il tutto più arioso e funzionale è stata tolta la bottega con i prodotti biologici, facilmente acquistabili dal sito di Alce Nero attraverso il rinnovato e-store www.alceneroshop.com. Al posto del grande scaffale-frigo posto all’entrate sono stati inseriti tre tavoli alti con sgabelli che valorizzano così il nuovo bancone del bar, per creare uno spazio conviviale e informale. Tolta anche la parete trasparente che divideva la cucina dalla sala: ora il lavoro dei pizzaioli e della cucina è parte integrante dello spazio di fruizione.
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